Psicosomatica selvaggia

Ecco la mia poltroncina mi ci siedo e me la aggiusto, mi guardo intorno, la stanza è in penombra, la fioca luce del mattino attraversa le sbarre larghe, cave, blu, sagomate. Il silenzio è quello giusto, precede le grida isteriche, la logorroicità dello stress, le risate di rabbia e di tensione, ma questo accadrà più tardi. Ora approfitto per scrivere, superando la barriera dell'insofferenza e della noia. I tre cervelli, anzi i sei, ai quali ieri sera si accennava in una conferenza sulla felicità e la buona salute, si stanno appena attivando, quello rettiliano mi ha messo in guardia da quello mammifero che tenta di prevaricarlo e quello della neocorteccia è ancora dormiente. C'è da ricordare ma non è questo che importa, non è qualcosa che riguarda la memoria ma sensazioni reali, attuali, vere, forti, contenute in uno spazio di consapevolezza.

Dopo cinque mesi, torno a misurarmi con i miei limiti, le mie paure, le mie incertezze, non è un assaggio di tantra, nemmeno uno stage mistico o archetipico, non è una lotta con il respiro, non la regressione verso il bambino interiore, non è nemmeno una "spremitura" delle masse muscolari e tendinee per estrarre il succo, in parte amaro, di traumi precedenti, è un po' tutto questo e anche di più!" Psicosomatica Selvaggia" è questo che vado a sperimentare oggi, sabato 19 ottobre. Esco da casa dopo aver preparato le poche cose in una tracolla di tela di jeans che ho "requisito" alla mia compagna. Già! La mia compagna non c'è, è partita giusto una settimana fa, l'ho salutata alla stazione, il tempo di scendere le scale del sottopasso mentre le ruote del treno sfrigolano sulle rotaie e le porte scorrevoli scivolano con un sonoro clac su sé stesse, ed eccomi solo, ma non è stato come le altre volte, ora c'è qualcosa di diverso e nuovo, sono in compagnia di me stesso. Il seminario me lo vivo in prima persona e dopo una settimana di "solitudine" riflessiva.

Chiudo la porta di casa e allo stesso tempo mi assale la solita ansia: avrò preso tutto? Nel parcheggio, dove mi aspetta un'amica del nostro gruppo, c'è tanto silenzio, poche auto, radi passanti, una scena particolare, una condizione che mi riporta a momenti già vissuti, legati ad altre prove e sperimentazioni. Si va alla colonica della Volpaia, ci siamo già stati, di sera, nel buio pesto, tagliato dai fari delle auto che oscillavano e rimbalzavano lungo la strada sterrata e piena di buche, creando fantasmi di polvere sottile, bianca e penetrante, sollevata dall'auto che precedeva. I primi due tentativi falliti si tornò indietro con manovre spericolate, inalando l'odore acre dei freni surriscaldati. Stamane, con la luce è tutto diverso, anche la distanza, eppure imbocchiamo a un bivio la strada sbagliata, alla fine ci siamo. Sono tutti lì sul prato davanti alla casa, auto in fila indiana, manovro dietro l'ultima e sento un tonfo sordo, ho preso un fosso, mi dico, ho fatto la "frittata". Scendiamo in preda al panico, è andata bene non ci sono danni, ora, però devo uscire da quell'impasse, serve una tavola o qualcosa che riempia il fosso, mi sembra di essere in un film di Indiana Jones, troviamo una pietra grossa e piatta la sistemiamo nel fosso, la ruota in retromarcia ci passa su senza problemi, l'auto è in salvo! Gli altri hanno seguito la scena, anche un po' divertiti, sono seduti sul divano, sui gradini dell'ingresso, distesi sul prato.

C'è ancora il sole, autunnale, calante, che si nasconde a tratti tra i rami già spogli degli alberi, generando ombre sottili in movimento, che oscillano e disegnano ricami sulla facciata della casa, sui corpi, sui volti e sugli sguardi, che incrociano i nostri mentre ci salutiamo. Vi leggo imbarazzo, disinvoltura, espansione, chiusura, sofferenza, serenità; mi arrivano nette, precise, forti a ogni stretta di mano o a ogni abbraccio. Poi prevale il silenzio, rotto da chi, complice l'amicizia, parla sottovoce con chi gli è seduto, affianco. Chi è lì per la prima volta, si muove sul prato un po' impacciato sapendo di essere osservato dagli altri. Ci si studia, per carpire il motivo che ha spinto a venire qua per comprendere di riflesso la propria motivazione. Timidi tentativi di rompere il ghiaccio, di sentire l'altro, di entrare in sinergia. Anch'io ci provo e le risposte le conosco già le ho già sentite tutte le volta che ho vissuto esperienza analoga è in me che c'è qualcosa di diverso, le accetto senza giudizio.

Siamo in diciotto, per oggi non verrà più nessuno, quindi si comincia. Entriamo in una stanza piccola ricoperta da qualcosa che somiglia al parquet; per terra: cuscini e materassi. Le pareti sono spoglie unici arredi, una mensola ripiegata a parete, un lampadario di carta e alcuni strumenti a percussione. Prima di trovare il mio posto, ho uno scambio di battute con una ragazza, le faccio osservare che occupa lo stesso posto di quella sera della cena e che sarebbe opportuno cambiare. Lei risponde che si sente protetta lì, io ribatto che è proprio per questo motivo che deve cambiarlo, mi risponde seccata, mandandomi a quel paese con un secco che c...vuoi, mi viene spontaneo di esclamare ad alta voce "caspita abbiamo già iniziato a lavorare"! il conduttore che è seduto in un angolo, sorride.

Ci sediamo a formare un cerchio siamo stretti, a gomito a gomito ma è una sensazione gradevole di compattezza e forza. Mi accorgo subito dell'assenza di schemi, non c'è un programma, ci si osserva l'un l'altro, lunghi minuti di assoluto silenzio, imbarazzo che si scarica con movimenti ripetuti e meccanici, ci si aggiusta nella posizione, si chiudono gli occhi, ci si distende coprendosi con i plaid. Ci si tiene fuori dalla mischia, ci si "nasconde", si fa gli indifferenti, come a scuola per non essere interrogati. L'ego comincia a vacillare, la mente pure, il cerchio si stringe, l'energia comincia a circolare e mette all'angolo ogni voglia di evasione. Poi qualcuno cede, pressato dalla tensione e si lascia sfuggire quello che prova e come si sente, allora il "gioco" comincia. Si ritrova al centro del cerchio e il conduttore inizia con domande mirate, precise tirando fuori il "demone". Demone che si materializza, prende forma, colore, peso, odore e posizione in una parte precisa nel corpo di chi è lì davanti a noi, allora gli è chiesto di scegliere dal gruppo qualcuno che istintivamente sente energeticamente affine al proprio demone.

Seguono lunghi momenti d'immobilità, i due si fronteggiano, si guardano negli occhi, poi si prendono per mano, stabiliscono un "contatto" e allora qualcosa accade, "l'energia cambia", si sviluppa una dinamica. Stimolata dal conduttore prima a voce poi con la partecipazione fisica, questa sinergia coinvolge anche gli altri membri del cerchio che intervengono "attirati" dagli impulsi che provengono dalla scena. Si sviluppa così un percorso energetico che, attraverso step successivi sempre più intensi, trova il suo compimento nella catarsi finale nella quale sono gradualmente coinvolti quasi tutti i partecipanti sotto l'incalzare del ritmo crescente delle percussioni. Si batte, con i piedi, con le mani, con gli strumenti, il ritmo nasce e cresce per un qualcosa che non è possibile controllare, un impulso che arriva dal centro del cerchio, che si sta sviluppando tra i protagonisti della scena. Mi ritrovo a battere le mani, i piedi e a muovermi come in trance, "guidato" dal legame energetico con le persone che sono davanti a me, poi arriva l'impulso a intervenire e donare la propria energia affinché la drammatizzazione che si sta snodando raggiunga il suo apice. Poi il ritmo cala gradualmente, si riduce, si spegne, come un fuoco che si estingue lentamente, sul "campo di battaglia" si risolve la tensione, la contrapposizione o si generano potenziali nuovi sviluppi.

La consapevolezza si espande e si comprende che quello che è accaduto ha cambiato qualcosa in modo diretto nei compagni al centro dello spazio e indirettamente, a "specchio", in tutti noi. Per queste "sessioni", non c'è durata prestabilita, nascono, crescono e muoiono seguendo un ritmo tutto proprio fino alla naturale evoluzione o risoluzione della dinamica. Siamo alla fine della giornata che si chiude con una meditazione di gruppo "Il Burattino", molto simile a una sessione sperimentata in uno dei moduli di tantra. Un percorso intenso, sottile, creativo, si passa dal senso d'immobilità e d'inanità, al risveglio del corpo che prende vita, sperimenta lo spazio, il movimento e il contatto con l'altro. Sfioramenti leggeri, superficiali, col trascorrere dell'energia diventano contatti intensi, totali; scambi di vitalità dallo spazio del Cuore. Il successivo ritorno all'immobilità ha qualcosa di diverso e di più, la consapevolezza che esiste una vita e che questa può attivarsi in ogni momento utilizzando l'esperienza che si è fatta. Usciamo dal tepore della sala dopo alcuni minuti di rielaborazione e di condivisione, sono le 23,00, torniamo a casa già pregustando cosa potrà accadere domani. Nel buio s'imbocca un sentiero che va verso il bosco, che si restringe sempre di più sotto i fari dell'auto, gli alberi e i cespugli diventano sempre più incombenti e invadenti, ci rendiamo conto che qualcosa non va dalle ruote che cominciano a slittare sul fango. Manovro in un fazzoletto e ritorno alla base, si riparte di nuovo e stavolta imbocchiamo la strada "giusta".

Sono un laboratorio, dentro il quale mi sperimento e un suono che sentirò solo ascoltandomi. In queste due frasi si condensa l'esperienza della seconda giornata del seminario di psicosomatica selvaggia. Un groviglio di frequenze e di suoni, ecco cosa sono le molteplici emozioni e sensazione che come una tempesta magnetica mi avvolge dal primo minuto del primo esercizio, un groviglio di corpi che creano spazio, contatto, danno forma al vuoto e al pieno, un graduale, piacevole risveglio dei sensi, ci ricolleghiamo tra noi per prepararci alle sessioni che seguiranno. Il "gioco" come lo chiama il conduttore, comincia a disegnarsi nella sua assoluta semplicità di schemi, non c'è niente che debba essere programmato, tutto parte da noi e ritorna in noi. Le grida acute, il pianto disperato, i canti, le poche frasi che arrivano dalla pancia o dal cuore, tutto fa parte del più puro accadere e sono specchio della nostra condizione del qui e ora, con picchi verso situazioni remote che però conservano una lacerante attualità perché sono ancora vive, incarnate nei muscoli, nella memoria del corpo.

Riportare il passato al suo presente, questo è il segreto di questa sperimentazione che si rivela tremendamente efficace nella misura in cui ti ritrovi coinvolto nella dinamica che si muove lì davanti a te a pochi passi, dinamiche che possono far paura, "impressionare", sgomentare, ma sono le stesse dinamiche che sono dentro di ognuno di noi, qui sono smascherate con l'aiuto reciproco e ci si lavora sopra operando dallo spazio del Cuore che è quello di tutto il gruppo come entità terza, equidistante, equilibrata, dove s'innesta l'osservatore, il testimone collettivo che è poi in ognuno di noi. Quando davanti si para il demone della costrizione e del condizionamento che crea una prigione immaginaria, noi creiamo una prigione di corpi, togliamo crudelmente lo spazio, tagliamo ferocemente ogni via di fuga alla compagna che tenta disperatamente di divincolarsi noi, diventiamo il suo demone, la sua sofferenza ma in questo modo morfologizzando le consentiamo di affrontarlo e combatterlo sul suo terreno, quello fisico. Dopo incredibili sforzi, urla, strepiti, imprecazioni, si apre un varco, il punto debole del demone o quello di forza della compagna, passa tra le gambe sguscia fuori piombando sul pavimento di slancio.

Allora il demone diventa alleato, la prigione apre i suoi cancelli che si trasformano in tanti varchi di gioia e inizia una danza sfrenata, tribale, una "trance dance" estrema, lei è libera ma non sa ancora di esserlo, allora comincia l'incitamento, a voce a gesti, a "venir fuori", rompere il guscio protettivo, tagliare il cordone ombelicale. Sento di essere tra i più matti ed esagitati in questo intento, in condizioni normali potrei avere un infarto, un ictus, invece urlo, salto per un tempo infinito, incito fino a perdere il fiato e le faccio cenno di venire verso da me urlando ripetutamente "esci". Non sono più nelle condizioni di comprendere cosa stia accadendo, so solo che devo liberarla e me lo conferma il ritmico, profondo insistente ritmo dei tamburi, i colpi sordi nelle porte, l'isterico battere di mani. Ed io vado, vado, superando i limiti o quello che penso siano dei limiti, poi l'energia cambia, ora si danza, prima da soli, poi in due vorticosamente, poi in tre, avvinghiati in un abbraccio inestricabile, si gira, si gira e ancora di gira, ho le vertigini, il fiato sta per mancarmi, ma non mollo, il Cuore mi dice che posso, ancora! Tutto me stesso è un dono totale all'altra, ora l'energia cambia ancora, mi arresto all'improvviso, le altre due restano avvinghiate nella danza si stringono con forza ed io le tengo insieme, le unisco con le mie braccia che sembrano animate, lunghe, incredibilmente elastiche e potenti, poi il ritmo cala la danza lentamente si arresta, ancora qualche sussulto, i due corpi ora semplicemente oscillano, sinuosi, morbidi, appagati. Ora c'è un senso di spazio, di pace, si ode solo il respiro profondo ritmico della vittima e del demone che ora sono un'unica cosa, un unico corpo, si sciolgono l'uno nell'altro nel segno dell'amore e dell'estasi.

E' il compimento, la catarsi. Dai corpi qualcosa sale verso l'alto come un vapore, un fumo, una nebbia, che non posso non accompagnare con le mani che vibrano come ali di farfalle sopra le loro teste, le braccia tese verso l'alto, il Cuore esplode, esonda non posso trattenere le lacrime di gioia che mi esplodono dagli occhi. E così col viso bagnato dal sudore e dalle lacrime, mi siedo in silenzio accanto a loro, lasciandomi andare nel respiro che arriva come un'onda che incontra altre onde, il respiro dei corpi davanti a me il respiro di tutto il gruppo, una celebrazione di cui avverto tutta la sacralità e bellezza. Esausto, mi trascino al bordo del cerchio sul primo materasso che incontro mi ci sciolgo totalmente, sento delle mani che mi toccano, altre che mi accarezzano, e una che stringe la mia con incredibile tenerezza. In questi momenti di totale assenza dell'ego, appare in tutta la sua incredibile bellezza e grandezza il vuoto interiore dove troneggia il testimone. Quando la mente dopo qualche minuto, comincia a occupare quello spazio, penso tra me e me che potrei e vorrei rimanere in quello stato per sempre.

Quando si presenta il demone della "follia" e della paura, il serpente svolge le sue spire ed entra in un corpo prima immobile poi lentamente e sinuosamente mosso da fili invisibili, non c'è scelta stavolta, la paura si affronta da sola, una meditazione solitaria, silenziosa, scandita dalla voce del conduttore che suggerisce il modo di immedesimarsi direttamente nel serpente, nella paura, e respirarvi dentro. Quello che vediamo accadere è qualcosa di misterioso e magico insieme, la nostra amica è seduta sui talloni, oscilla come un'alga nella corrente ed è proprio nelle onde che si scioglie la paura e diventa abbandono, arriva l'impulso, l'energia cambia, l'oscillazione si trasmette alle gambe, si alza, ora tutto il corpo si muove. Ci ritroviamo in cinque, intorno a lei, legati in un abbraccio delicato, fluido, l'accogliamo dentro di noi e la culliamo. Non so dire da quanto tempo sto oscillando nella risacca, so solo che d'improvviso da dentro la parte più profonda di me esce un suono, che cresce, si articola, diventa un canto, armonico, dissonante, contagioso, ora tutto il mare è un coro di suoni. La commozione è forte, un brivido percorre tutto il groviglio di corpi e braccia che si stringono ancora di più. Altro impulso, l'energia cambia ancora, ora può comparire il serpente e lo fa nelle sembianze di una ragazza che all'improvviso entra nel nostro spazio, strisciando per terra e raggiunge l'altra. Il contatto tra loro genera un terremoto energetico, ci apriamo, per lasciare spazio a quel contatto tenero, delicato, che diventa preghiera che sale verso l'alto, la sentiamo distintamente dentro di noi, attraversare lo spazio e volare verso l'alto. Qualcosa cambia ancora, sentiamo di dover sciogliere il nodo accogliente e lasciare campo alla danza giocosa, fluida dei due corpi che non si staccano mai del tutto, ora il serpente danza da solo, e l'altra ci gioca intorno, lo tocca, lo spinge, lo attira a sè e noi tutti intorno a incitare quella danza che concilia gli opposti, ricompone la frattura, poi la catarsi, l'abbraccio forte, totale tra la paura, la follia e la sua vittima. Ci ritiriamo lentamente ai bordi della scena, esausti ma pieni di gioia e di gratitudine.

Nella condivisione finale definisco questa esperienza, con una sola breve affermazione, "E' il mio punto di svolta". Gli abbracci finali hanno un sapore antico e nuovo, sigillano un patto che non sarà più sciolto quello con sè stessi.