Un giorno particolare
Tutto mi appare ovattato, avvolto in una foschia sottile che rende le immagini sbiadite, prive di colore, più che di luce.
Un mattino di marzo, che prelude primavera. Dai monti, non lontani, però scende un'arietta gelida dal sapore d'inverno, si intravedono sulle cime più alte schizzi di neve. Il sole fatica a scioglierli, il suo messaggio non è così chiaro e forte, da influire sulla matrice.
Il corpo protesta, generando brividi che attraversano la pelle e si infrangono contro il maglione di flanella.
Mi inoltro nella luce, dopo un giorno di "reclusione", trascorso ad osservare, attraverso i vetri, le immagini che scorrevano fuori, uguali a se stesse, e che disegnavano strade, auto, passanti, radi alberi.
Difficile carburare di prima mattina. Bastano però pochi minuti e la memoria dei passi si attiva, riconosco il battere delle piante dei piedi sul terreno, il ritmo del respiro che sempre più si allinea al movimento del corpo.
Ora sono immerso in quelle immagini, sono parte di me, le ho attivate ma stavolta per giocarci dentro, come protagonista, Solo, non posso osservarmi camminare dal vetro di una finestra.
La mente ha bisogno di immaginare che ci vogliano dieci minuti per arrivare alla stazione ferroviaria, lo sa già, ha già proiettato, altre volte, questa costruzione olografica per darmi l'opportunità di gustare le sensazioni legate al tragitto.
Ecco la farmacia, un uomo e una donna in camice bianco chiacchierano al sole fumandosi una sigaretta. Un'altra donna mi passa accanto, sguardo chino, passo veloce, sta già pensando a quello che farà una volta arrivata chissà dove, non si accorge di me, non si accorge che sta sperimentando se stessa che cammina.
Qualche metro più in la, la scuola di danza, chiusa, ma riesco a immaginarla aperta e piena di gente, come accadrà tra qualche ora, Quindi l'agenzia, che ha curato l'acquisto della nuova casa, mi volto istintivamente a guardare l'altro lato della strada, l'insegna verde è lì, le porte a vetri chiuse, dentro c'è ombra e non si vede, fino a qualche tempo fa c'era sempre qualcuno fuori, che fumava o parlava al cellulare, io alzavo il braccio salutando e quel qualcuno mi rispondeva, ora non accade più. Rifletto che il "tempo passa", l'energia dell'immagine diminuisce, non è più alimentata dai contatti, dagli interessi comuni. Sento che un saluto ora sarebbe fuori luogo, una forzatura, non c'è più brio, ne eccitazione.
Decido che alla stazione ci arrivo dall'angolo della Conad, al semaforo, non mi va di usare la solita scorciatoia, perchè alimentare l'impulso ad avere fretta...
Sul marciapiedi che si perde lontano tra i binari, la luce del sole è accecante, non c'è più foschia, i colori ora sono chiari, le ombre nette, c'è uno scarto di diversi pixel tra la parte in ombra sotto la tettoia e quella scoperta. Mi viene voglia di camminare nella parte luminosa, ho bisogno di sole, di sentire il suo calore e il suo messaggio.
Scorgo due sagome nere in lontananza, via via che mi avvicino prendono la forma di due ragazzi, entrambi seduti sulla panchina lei da un lato, lui dall'altro. I due zaini appoggiati per terra dicono che oggi la scuola può aspettare, ci sono altre lezioni da apprendere, sicuramente più interessanti.
La voce metallica comunica che il treno n. 33557 arriverà al binario 2 anziché 3, collego questo cambiamento al fatto che dall'altro lato dei binari delle tute gialle si muovono concitatamente. Lavori in corso.
Qualcosa mi dice che il treno non è quello a due piani, panoramico, infatti si scorge da lontano una lunga teoria di carrozze, desolatamente vecchie, scolorite, le maniglie della porte sono dure e screpolate, per aprire ci vuole una muscolatura da body builder.
Ma in tre ce la facciamo, sono sul treno, inizia l'avventura, oggi mi "concedo" una mattinata al mercato.
All'arrivo sono completamente a mio agio, conosco a memoria cosa mi aspetta, il marciapiedi nuovo di zecca, le panchine tecnologiche, i cartelloni elettronici con le scritte gialle, l'ascensore per disabili tutto vetri e ingranaggi a vista, Esco dall'ombra, lo spiazzo davanti alla stazione mi accoglie come un vecchio amico generoso, donandomi spazio, calore, luminosità.
Svolto l'angolo della Coop (strano come agli angoli delle stazioni ci sia sempre un supermercato!) e scorgo in lontananza le tende protese del mercato, sotto brulicano figure multicolori, mi accorgo che sono persone, vestiti e tende che oscillano. Esclamo qualcosa, un suono incomprensibile, serve per darmi la scossa, e andare....