La Dinamica

16.05.2012

La prima cosa che mi rimase impressa quando feci il primo modulo di tantra fu la meditazione dinamica. Avevo sentito parlare di questa famosa tecnica meditativa creata da Osho per gli occidentali, così poco amanti della meditazione tradizionale, dello stare fermi e immobili, una tortura!. Quindi per fare in modo che la mente potesse essere messa fuori gioco l'unico modo era la dinamicità forzata, proprio l'opposto dell'immobilità. Chi ne aveva fatto esperienza ne parlava come di una tecnica faticosa, impegnativa, devastante da evitare come un malanno......

Questa impressione riportata, così come accade per i bambini quando vengono spaventati con racconti misteriosi o parlando del buio e dei suoi fantasmi, così io mi approssimai a questa meditazione con tutte le apprensioni e le paure che assillano un fanciullo irretito.

Praticarla poi di mattina, appena svegli, con il corpo ancora intorpidito e intontito dal sonno, appariva impresa impossibile. Sarà stata l'aspettativa, l'influenza degli altri, le condizioni fisiche sta di fatto che la prima dinamica è stata per me un'esperienza sconvolgente.

Quella mattina mi sentivo, stanco, dolorante, assonnato, smarrito e ascoltare le istruzioni di uno del team contribuì a innalzare ulteriori ostacoli, mano a mano che procedeva la descrizione della fasi e ascoltavo quello che avrei dovuto fare cresceva in me l'ansia da prestazione. Mi dicevo che non sarei mai riuscito ad attenermi alle istruzioni che non avevo le risorse fisiche per reggere al ritmo, avrei sicuramente fallito.

Quando poi la musica iniziò con il suo caratteristico ritmo incalzante e ripetitivo della respirazione forzata, non sapevo da che parte cominciare, la mente mi suggeriva di simulare, prendermela comoda, infatti il respiro era bloccato, più mi sforzavo a sbloccarlo e più andavo in crisi, mi fermai diverse volte, cercavo di cambiare ritmo senza successo, muovevo le braccia e il corpo come mi era stato detto ma non sentivo alcuna naturalezza e fluidità nei movimenti, alla fine ero stremato e in apnea ed eravamo soltanto al primo stadio.

Al gong del secondo stadio, la famigerata "catarsi", le urla dei miei compagni mi disorientarono, mi dicevo ma perché devo gridare se non ne ho voglia, perché battere i cuscini, che senso ha, cosa devo scaricare, la rabbia ma non la sento, il dolore, nemmeno quello, l'odio, l'aggressività, ma che! Ero senza emozioni, le cercavo frugando disperatamente dentro di me ma non c'era nulla, provai lo stesso a gridare e a dimenarmi ma era una sensazione fastidiosa, forzata, allora rinunciai e mi limitai a muovermi imitando gli altri, sì perché nonostante fossi bendato, riuscivo a "sbirciare" dalla parte bassa della benda. Quella follia mi sembrò interminabile e accolsi come una liberazione il gong successivo.

Al peggio, però, non c'è mai fine e infatti c'era ora da saltare sul posto con le braccia tese verso l'alto e per di più cadere sui talloni, ahi!. accompagnandomi con mantra "hu!". Avevo voglia di fermarmi e abbassare le braccia, dopo pochi minuti già mi dolevano, dopo qualche salto mi limitai a scuotere il bacino poi provai a risaltare e feci questo tutto il tempo, flettendo e rialzando al contempo le braccia, in qualche modo arrivai al famoso stop e al congelamento.

E una parola!, bloccarsi all'istante, rimanere assolutamente fermi senza battere ciglio, impossibile dopo tanto agitarsi, infatti provai con tutte le mie forze a stare fermo ma non ci riuscii, il respiro affannoso, il bruciore dei muscoli delle spalle non era assolutamente gestibile, mantenni una parvenza di immobilità.

Poi finalmente la danza, la celebrazione, era ora!. Il corpo finalmente poteva muoversi liberamente non c'erano schemi da seguire né posture da mantenere, sicuramente la parte che ricordo di aver eseguito senza problemi e che mi dette un po' di soddisfazione e piacere.

Volutamente ho usato un linguaggio colorito nel descrivere la mia prima dinamica, perché così è più facile capire il disagio che mi provocò il primo impatto con questa tecnica. A distanza di anni e con alle spalle un numero di dinamiche che faccio fatica a ricordare posso rivedere a ritroso tutto il percorso fatto per "domarla". Nel corso degli anni ho cercato di comprenderla, di interpretarla, di trasformarla di riadattarla, di renderla più sopportabile, col tempo mi ero anche convinto di fare una buona dinamica, usando trucchi più o meno leciti. In realtà ho sempre bleffato con me stesso e mi sono preso, come si dice per i fondelli.

Solo negli ultimi due moduli ho compreso il senso della dinamica, non ho più ascoltato le istruzioni, non ho più creato uno schema interpretativo, non ho più "pensato" alla sequenza dei suoi cinque tempi, ho semplicemente ascoltato la musica e lasciato che il corpo esprimesse quello che liberamente voleva esprimere, ho lasciato che la dinamica accadesse che si snodasse liberamente lungo il suo percorso, restando nell'attenzione e nell'ascolto di quello che il corpo aveva esigenza di fare o non fare. Ora la respirazione forzata aveva un ritmo tutto suo, non era necessario cambiare ritmo per forza, accadeva da se, il respiro stesso assumeva il ritmo più consono all'esigenza di scaricare le tensioni e soprattutto non c'era più rigidità nei movimenti, il corpo era morbido, fluido come acqua, e in quella fluidità il respiro fluiva senza sforzi modulandosi al ritmo del corpo, mutava con il mutare delle esigenze del corpo, si riassestava da solo al ritmo più vicino al completo rilassamento.

Ora era quasi naturale passare dal respiro modulato alla espressività corporea e sonora della seconda fase, anche qui restavo in ascolto, lasciando che da dentro emergessero, liberamente le emozioni, qualsiasi emozione non necessariamente rabbia o dolore, ma quello che realmente veniva a galla, spesso mi sono ritrovato a danzare come un matto, a fare versi incomprensibili, a entrare in giberish, e dai suoni che emettevo liberamente prendeva forma la voce dell'emozione di turno e allora uscivano grida, canti, suoni parole urlate e ripetute, dietro quell'espulsione di tensioni c'era il completo, totale rilassamento, la caccia era aperta, ogni volta che si creava un ostacolo o un blocco che impediva il rilassamento, in modo del tutto naturale usciva da me il corrispettivo sonoro o di movimento. In queste condizioni spesso arrivava il gong della fase successiva e quasi sentivo la necessità di continuare tanto era la gradevolezza della sensazione che provavo nel liberare il corpo dalle sue tensioni più profonde, tutti i muscoli erano rilassati e in quel rilassamento c'era l'inizio di una sensazione estatica che chiedeva di espandersi attraversando e rompendo altre tensioni via via in un crescendo gradevolissimo

Saltare si gioia era allora quasi naturale, ma sempre senza intenzione o forzatura, la dove il corpo chiedeva di arrivare lì arrivava, il limite non era imposto da un traguardo della mente ma arrivava da solo e ogni volta accadeva un superamento naturale, autonomo, mi bastava stare li ad osservare a sentire, sì è la gioia che decide dove devi arrivare, non c'è aspettativa, resti nel godimento centrandoti sulla sensazione estatica che ti arriva ad ogni salto e ad ogni hu che lanci sempre più forte ed intenso, qualcosa sale dal basso e va vero l'alto, vero la punta della dita delle braccia alzate che possono anche essere non tese, non importa, il corpo assume da se la postura più adatta a permettere alla gioia e all'estasi di invaderti.

Allo stop ti fermi, semplicemente, non vuoi e non devi fermarti, anche questa cosa accade da se, non occorre irrigidirsi, il corpo resta fluido è una immobilità dinamica, chi si ferma è il testimone che coglie il senso dello stare fermo del corpo e accade che lo abbandoni a se stesso, identificandosi nel vuoto improvviso creato dall'assenza di movimento. Il famoso "punto" di cui parla Osho.

La danza che segue è una naturale progressione del vuoto creato dall'immobilità, qual vuoto comincia ad animarsi e a disegnare movenze involontarie, come nel latihan, lasci che l'energia scorra liberamente e si snodi secondo una sottile e insondabile volontà che non è la tua, e senti che in quel movimento a cui non ti opponi e ti abbandoni c'è qualcosa di molto misterioso e molto bello, in quei momenti è come sprofondare nell'estasi che è tanto intensa da provocarti lacrime di gioia.

Sembrerà un paradosso ma è così che la dinamica è accaduta dentro di me, quando ho smesso di eseguirla.