Intervista alla rivista Spirito Libero

15.11.2010

(Intervista rilasciata a Pietro Gerola Direttore delle rivista Spirito Libero nel Novembre del 2010 e pubblicata nel n. 28 di Gennaio 2011)

Sei mai stato qui? Incontro Giuseppe Crispo all'interno del carcere di Sollicciano, e dopo il primo saluto e stretta di mano, mi ha fatto questa domanda che mi ha colto di sorpresa: "No, per fortuna!..." ho risposto... "Ma... intendevo anche solo per far visita a qualcuno!..." ha subito ribadito.

Ora che ricordo le sue parole penso che sia giusto e doveroso fare una visita ogni tanto per portare un messaggio positivo e di incoraggiamento a chi purtroppo si trova in una condizione davvero disagiata. Chiunque abbia percorso la tangenziale che porta a Pisa e Livorno, non può non aver notato questa costruzione in cemento armato attorniata da enormi cancellate con le mura dalla particolare inclinazione. L'amico comune Luca Bordoli dei Creativi Culturali, ci ha messo in contatto e, dopo un paio di telefonate, arrivo all'appuntamento che Giuseppe mi ha dato all'interno del Penitenziario.

Ciò che si nota fin dalle prime battute, è la grande paura mista ad ansia ed incertezza che si legge negli sguardi di tutte le guardie che ti squadrano durante il breve tragitto; prima al bar per un caffè e poi nel freddo ufficio destinato ai colloqui con gli esterni. Giuseppe mi racconta un po' del suo vissuto e soprattutto del suo desiderio di riuscire a portare un po' di conforto attraverso il suo lavoro a chi probabilmente anche più di altri ha realmente bisogno d'aiuto; un aiuto vero che porti l'essere umano in profondità nel capire se stesso. Gli rivolgo alcune domande mentre rifletto sul titolo della rivista che sta sfogliando e che mi ha portato anche qui.

Da quanto tempo fai questo lavoro?

Da ormai quasi trent'anni; ho cominciato nel lontano 1983, prima a Cuneo per 5 anni e poi a Firenze da 25.

Quali sono le attività specifiche che svolgi con i detenuti?

Sono uno dei direttori d'area pedagogica che si occupa della gestione dell'area trattamentale; quel settore dell'Istituto che organizza tutte le attività previste dall'ordinamento penitenziario finalizzate a impegnare i detenuti durante l'espiazione della pena: lavoro, studio, attività ricreative, sportive, culturali e ad effettuare nei confronti degli stessi un programma di recupero e di reintegrazione sociale (oggi però va di moda la parola inclusione sociale), attraverso le misure alternative alla detenzione utilizzando la procedura dell'osservazione scientifica della personalità, avvalendoci anche di professionisti psicologi e criminologi.

Come sei arrivato alla conclusione che attraverso la meditazione si possono ottenere dei buoni risultati?

Mi interesso ormai da diversi decenni del pensiero e delle discipline orientali ed ho fatto un lungo percorso di crescita che mi ha portato negli ultimi anni ad incontrare la meditazione tantrica; l'incontro, avvenuto circa tre anni fa, ha impresso una svolta sia alla mia vita che all'attività lavorativa che svolgo. In più di un'occasione ho avuto modo di scrivere delle riflessioni su questa trasformazione e a quelle rimando perché sono attuali e rispecchiano esattamente quello che ancora oggi percepisco del mio ruolo istituzionale e del mio percorso di vita.

Nel frattempo, ulteriori esperienze fatte sia in campo meditativo che di lavoro, mi hanno suggerito di creare una rete per collegare tutte quelle persone che sentono la stessa esigenza di trasformazione e che si attivano perché questa occasione di trasformazione diventi un'opportunità per tutti, ivi compresi gli utenti degli istituti di pena. Sono anche operatore olistico trainer e ho un mio gruppo con cui faccio body work da più di tre anni. Fino a un anno fa si lavorava sul corpo e sui sogni e facevo coppia con un'altra operatrice.

Nell'ultimo anno invece lavoro con le meditazioni attive e gli esercizi energetici. Oltre al gruppo esterno si è sperimentato anche con i detenuti per circa due anni con risultati sorprendenti che sono riportati in un altro interessante resoconto. Proprio questa sperimentazione mi ha fatto scoprire un interessante paradosso a fronte della grande difficoltà che incontrano le persone "libere" a guardarsi dentro: chi è privato della libertà ne incontra molta meno. Infatti l'essere obbligati in uno spazio definito e il non poter essere coinvolti nelle dinamiche della vita esterna, costringe a guardarsi dentro perché non c'è modo di "evadere" dal contesto.

Tenendo conto delle differenze contestuali, è come vivere in un monastero. Non è un caso che un tempo, ma in certe realtà cittadine ancora oggi, le carceri erano e sono ricavate da monasteri dismessi, sottoposti a regole severe e quindi "costretti" a riflettere e pensare a quello che sta accadendo e alle azioni che hanno portato alla condizione afflittiva.

Come vedono le tue iniziative i responsabili di Sollicciano e in generale i tuoi colleghi in altre città?

Negli ultimi tempi c'è una maggiore attenzione verso queste nuove vie di sperimentazione anche se c'è ancora molta diffidenza dovuta il più delle volte alla non conoscenza della materia. In alcuni istituti della Toscana si svolgono già da anni corsi di meditazione e di lavoro sul corpo, per la gran parte buddhismo e yoga. In certi casi hanno cominciato proprio dei miei colleghi che però hanno dovuto interrompere per l'incompatibilità e sovrapposizione dei ruoli di educatore e meditatore. Anch'io ho dovuto, per poter lavorare sulla meditazione, svolgere l'attività come volontario e in un carcere diverso di quello in cui lavoro.

In una società ideale come vedresti la funzione del penitenziario e comunque di un Istituto che da una parte deve proteggere i cittadini da chi disobbedisce malamente alle leggi che la regolano, ma al contempo vuole farlo nel modo più appropriato?

Chi è privato della libertà è paragonabile a un "ribelle" che con una dinamica più o meno cosciente, ha attaccato la barriera dei condizionamenti e delle regole del vivere civile, usando la violenza. Queste persone, e l'esperienza di meditazione di cui parlavo fatta per circa due nel carcere di Prato lo dimostra, hanno una potenzialità meditativa molto alta. Questa constatazione mi ha stimolato tra i tanti progetti e iniziative di cui ci occupiamo nell'ambito carcerario, quella di inserire all'interno degli Istituti di pena la meditazione e tutto quanto si riferisce al benessere psicofisico, come elementi base del trattamento penitenziario.

Questa idea era già stata proposta da altri in Italia e consta di sperimentazioni che durano da anni in India e in America. Nel nostro paese sono già in atto esperienze in vari istituti grazie all'abnegazione di associazioni o singoli operatori che però agiscono in modo scollegato tra loro; manca l'organicità e la sinergia perché questi interventi risultino realmente incisivi ed efficaci. Il progetto, che abbiamo denominato Detenzione e Meditazione, è stato mutuato da un'iniziativa partita nella regione Lazio.

Il Convegno per la presentazione di questo progetto è stato orientativamente previsto per la prossima primavera; intanto si sta provvedendo ad attivare altre iniziative nel campo della meditazione e del lavoro sul corpo in diversi istituti della Toscana in modo da avere un riscontro dei risultati ottenuti sull'utenza e raccogliere materiale scientifico sull'efficacia di questi metodi. I gruppi che lavorano infatti sono affiancati da psicologi e terapeuti alcuni dei quali partecipano in prima persona alle sedute e stileranno poi una relazione sugli effetti che il lavoro produce.

Laddove questi interventi sono stati fatti, si è potuto constatare che gli effetti che producono si sostanziano da un lato nel reale e duraturo stemperamento delle tensioni e dello stress che sono la caratterista peculiare delle strutture totali, e dall'altro nell'incremento della consapevolezza e quindi della capacità di elaborare il vissuto anomico da una posizione più critica, distaccata e attenta, quella del "testimone" e di identificare più chiaramente le dinamiche che hanno portato a rifiutare gli schemi e gli obblighi imposti dalla società.

Il colloquio è proseguito e una sua affermazione, tra le tante, mi ha veramente colpito:

"Pensa che nella mia esperienza ormai trentennale, posso dire che il 90% delle persone che entrano qui, prima o poi ci ritornano. Se non li aiutiamo a risolvere i loro problemi esistenziali veri, non c'è praticamente modo di uscire dal problema".

Qualche settimana fa pensavo al fatto che migliaia di bravi terapeuti che in questo ambito potrebbero essere di grande aiuto, si ritrovano molto spesso a "sbarcare il lunario" per mancanza di fondi - e posso dirlo perché io stesso ne conosco davvero tanti - nel mentre vengono investiti miliardi per spese assurde in armamenti che di certo non giovano alla pace e tanto meno a quella interiore di cui tanto necessita la società.. Dobbiamo fare in modo che queste proporzioni vengano trasformate e che si possa fare di più per aiutare chi ha realmente bisogno di una mano: una giusta mano che possa portare una ventata di profonda giustizia anche a chi, un giorno, l'ha comunque ed evidentemente violata.