Entri e trovi il divino

15.07.2013

Sono stato iniziato al cattolicesimo da una famiglia "timorata" di dio e con "sani" principi morali. Per tutta l'infanzia e parte dell'adolescenza ho vissuto in ambiente clericale: l'asilo e le elementari dalle suore, la media sempre in una struttura religiosa anche se con insegnanti laici. La messa la domenica era la regola, così come la frequentazione di parenti e conoscenti tutti legati alla parrocchia di nascita di mia madre. 

Pomeriggi interi, passati seduto a una seggiola, a casa di zie e zii, cugine di primo o secondo grado ad ascoltare il silenzio interrotto dal ticchettio di una grossa sveglia sullo stipo o da latrati lontani di cani o peggio ancora discorsi deprimenti su problemi di salute, su curiosità o "inciuci" come si dice dalle nostre parti o sulle iniziative della parrocchia e sui sermoni del prete. Il distacco da questo mondo posso affermare che è avvenuto materialmente soltanto una decina d'anni fa, anche se i presupposti erano già maturati nella prima gioventù con letture e frequentazioni "proibite". 

La progressiva scomparsa delle figure familiari e dei parenti ha via via allentato la presa e la rete si è allargata a un punto tale che ho potuto sgusciare via. Il decondizionamento profondo, poi, l'ho affrontato negli ultimi anni. Oggi mi capita di entrare in chiesa, mi è capitato quando i miei genitori hanno lasciato il corpo, ma non è più come tanti anni fa, quando entravo in punta di piedi, a capo chino, quasi contrito, e avevo timore di volgere lo sguardo sull'altare, per paura di violare la sacralità del corpus domini. 

Da piccolo mi ripetevano fino all'ossessione, madre, parenti, preti, suore, insegnati di religione che non dovevo assolutamente alzare lo sguardo verso il sacramento perché era blasfemo, era peccaminoso guardare il corpo di cristo con occhi impuri. Il senso di colpa quindi mi schiacciava. Al contempo però quando passavo davanti all'altare e dovevo genuflettermi in segno di devozione, provavo un senso di disagio, d'umiliazione, mi dava fastidio inginocchiarmi e farmi il segno della croce, sentivo che era troppo, che si violava il limite della dignità. 

Evitavo, infatti, accuratamente di attraversare lo spazio tra le due file di panche, e sceglievo di rimanere in uno dei due lati, tutto il tempo, per poi uscire dalla stessa direzione, non potevo però evitare il saluto d'uscita dalla chiesa con l'uso del fonte battesimale. Con il tempo ho saltato anche questo passaggio. La figura del prete l'ho sempre vissuta in modo ambivalente, da un lato soggezione e riverenza, dall'altro fastidio. Gli anni del post- infanzia e della pre-adolescenza li ho vissuti con le suore e forse lì ho iniziato a disamorarmi dell'ordine religioso, per tutta una serie d'eventi che mi sono capitati. Da bimbo timorato di dio, sono passato, attraverso esperienze umilianti, mortificanti e dolorose, alla ribellione e alla rabbia. 

I primi anni, per la mia fedeltà e aderenza alle regole, spesso facevo il capoclasse con il fiocchetto rosso, scrivendo i buoni e i cattivi sulla lavagna, dopo sono passato tra i nomi da scrivere sulla lavagna e spesso mi ritrovavo tra i cattivi. Le figure laiche cominciavano a suscitare in me un certo interesse e, di contro, i paludamenti scuri mi davano un senso d'angoscia e di tristezza. Da quel momento mi sono allontanato sempre di più dal mondo della chiesa. Ci sono ritornato occasionalmente, come accennato sopra, per le circostanze della vita, il matrimonio, i funerali, le comunioni e le cresime di parenti o nipoti. Il senso di smarrimento e di timore reverenziale non c'è più. 

La formazione successiva e il percorso di decondizionamento, oggi, mi consentono di vivere quegli spazi e quei momenti con il giusto grado di distacco e di consapevolezza. Non c'è più nessun tramite, nessuna interferenza, ora tutto è più chiaro, i riti, le funzioni, la stessa figura di Gesù, il sacramento o corpus domini, le statue, i labari, li sento come qualcosa che mi appartiene, che sono parte di me e, proprio per questo, non hanno più alcuna influenza. 

Ora posso apprezzare la bellezza di certe chiese, l'imponenza delle cattedrali, la pretenziosità o arditezza delle guglie di certi campanili, la misteriosa solennità dei templi, vissuti come frutto della capacità creativa. Il contatto diretto con il divino è la nuova chiave di lettura; il "corpo del signore" non è solo nel tabernacolo ma anche nei marmi dell'altare stesso, nei fiori, nelle candele, nelle statue, nelle panche, in ogni cosa manifesta. Nei preti stessi, benché questi non sembrino rendersene conto. La nuova prospettiva mi consente di trovare il divino non solo entrando nei templi, ma soprattutto nel tempio per eccellenza che è il mio corpo.