Il comunismo e la comune

13.06.2012

Per questa riflessione prendo spunto da un articolo pubblicato su una rivista fiorentina, dove si parla di comunismo risalendo alle sue radici, prescindendo dalle teorie note di Marx ed Engels, E dagli Stati che oggi e in passato si sono definiti comunisti. Viene fatta una disamina concettuale del comunismo risalendo all'etimologia del termine così come è apparso per la prima volta nella storia e come è poi ricomparso durante il corso della stessa. In particolare si accenna al periodo medievale e a quello della prima modernità, a correnti radicali hussiti, hutteriti e taboriti le cui dottrine furono definite communisticae. 

Anche nel cinquecento, prosegue la nota, c'erano degli eretici che predicavano la comunione dei beni e il vivere comunitario, incitando a espropriare dalle loro ricchezze la nobiltà e il clero. E'evidente che tutto il problema sorge dallo spostamento dell'attenzione da se stessi all'esterno, pensare la realtà come qualcosa che può e deve essere posseduta, modificata, utilizzata ecc. questo atteggiamento egoico ha di seguito generato tutte le subalternità e le posizioni predominanti che si sono sviluppate nel corso della storia dell'umanità. 

Da quel momento, ossia da quando sono sorti gli oggetti del contendere, del mio e del tuo, hanno preso corpo le fazioni, le classi, le divisioni ecc. Il passo successivo non poteva essere che il conflitto e la rivendicazione, essendosi venuta a creare un inevitabile sperequazione tra chi aveva il potere e chi non, tra i più forti e i più deboli, tra ricchi e poveri, insomma. Questa struttura mentale si è via via consolidata grazie alle religioni intesa come chiesa e la politica, con l'avvento quindi di due fazioni il fideismo che ritiene di avere l'esclusiva della dimensione spirituale e il laicismo che invece quello del governo del popolo, fazioni che a volte in lotta a volte integrati, hanno predominato in tutta la struttura societaria. 

Solo che il conflitto in quanto tale è sterile perché presuppone alla fine comunque un predominio, per dire i poveri vogliono togliere ai ricchi ma per farlo devono "prendere il potere" e poi cercare di impedire a quegli altri di riprendere il sopravvento; dall'altro i ricchi e chi detiene il potere vuole tenerselo e quindi reprime o impone regole e condizioni. Questo conflitto a volte sotterraneo altre volte esploso in modo eclatante, ha permeato tutta la storia, si è trasformato in certi momenti in compromessi e complicità a seconda delle opportunità e delle circostanze e ha prodotto veri e propri incapsulamenti attraverso leggi, tradizioni e un certo tipo di educazione ecc.

Questa pressione innaturale e prevaricatrice ha mostrato delle flessioni solo quando per la forza della disperazione, del bisogno della sopravvivenza, con la nascita di movimenti spontanei e non che hanno cercato di rompere gli schemi attraverso mezzi cruenti, le rivoluzioni, oppure sotterranei e relativamente non violenti: sette, gruppi intellettuali ecc. che hanno rappresentato una volontà di ribellione. Il fatto è che, nei promotori e componenti di questi movimenti, salvo rare eccezioni (gruppi iniziatici), non è presente la consapevolezza, il cambiamento ha spesso portato all'applicazione di una sorta di legge del contrappasso. 

Per cui spesso la ribellione si è cristallizzata a sua volta in un nuovo potere che si limitava a sostituire quello preesistente. In tempi remoti e in civiltà antichissime, questo problema era inesistente perché non era ancora presente il senso dell'essere altro da se, il dualismo era sostituito dalla centralità dell'essere, dalla consapevolezza di essere anche un corpo ma non essere solo il corpo, dalla consapevolezza che avvicina alla propria più intima essenza e che stimola l'accettazione incondizionata del flusso naturale delle cose (correnti come il taoismo e il tantrismo erano e sono, tanto per intenderci, orientati in questo senso). 

Questa impostazione di vita che consentiva di gestire i rapporti in modo totalmente oggettivo, per la presenza di una forte consonanza energetica, la contrapposizione semplicemente era un concetto inesistente. Lo sciamanesimo, il contatto diretto con la più profonda essenza di se e con l'energia onnipervadente, rendeva inutile la necessità di comprendere, di cercare, di giudicare, di scegliere di prendere, la vita veniva sperimentata e accettata in tutte le sue sfumature. Con la perdita di questa condizione è subentrato, come già detto, la dualità, la sensazione di essere staccato dalle cose, da qui la "necessità" e il "bisogno" di doversi "riprendere" qualcosa che appare altro da se, per colmare il vuoto: ma quest'oggetto sconosciuto da conquistare diventa anche appannaggio dell'altro di qui la contesa per la supremazia e per il possesso. 

Mettere in comune le cose, condividere gli spazi, vivere in armonia, prosegue l'articolo,sono i principi che hanno ispirato e inspirano, in radice il comunismo, ma questi principi sono stati soprattutto appannaggio e realmente applicati nelle comuni. Dove però, accanto alla mera struttura organizzativa, c'era un lavoro sulle persone che consentiva di riappropriarsi della dimensione interiore di cui si accennava sopra. Il presupposto perché una struttura comunitaria possa funzionare è mettere tutte le persone nelle condizioni di non dover avere bisogno, né di sentire l'abbandono o la privazione di un qualcosa. 

E' evidente che se nelle persone è presente solo il senso di subire un'ingiustizia e quindi di conseguente rivalsa, è questa è l'impostazione di fondo che ha preso piede nei movimenti cosi detti comunisti, è inevitabile che l'azione diventa contro qualcosa o qualcuno che usurpa o occupa una posizione di preminenza, nasce quindi un circolo vizioso basato unicamente sulla rivendicazione che ha spesso portato alla contrapposizione e all'odio di classe.Oggi al posto delle lotte tra fazioni c'è la più "civile" alternanza democratica tra due diverse concezioni delle gestione della politica e di diverse visioni del mondo, ma la divisione resta. 

Questo gioco che è simile al pendolo diventa un moto perpetuo dal quale non si esce, a meno di non lavorare ad una rivoluzione interiore, che è l'unica che senza creare conflitti né danni, è in grado di mutare il senso della vita e riportare tutto alle giuste proporzioni. Il libero fluire delle cose non ha in se nulla di negativo né di positivo, è il nostro punto di osservazione individuale che lo fa apparire come tale per cui quello che per qualcuno è positivo per l'altro è negativo e viceversa con questi presupposti è naturale che si radicalizzi la contrapposizione, per cui alla fine se non ci si "batte" si addiviene ad un compromesso che non accontenta nessuno. 

Il manicheismo della contrapposizione degli opposti, che non vengono concepiti come complementari di un'unità ma controparti irriducibili mette in moto lo schema predominante nelle strutture societarie moderne. Il fatto che non si sia consapevoli di ciò rende convinti che non ci possano essere altri modelli possibili di convivenza. Se a questo andiamo ad aggiungere la paura che tutto alla fine è destinato a finire si comprende perchè gli uomini cerchino in tutti i modi di possedere e fare tutto ciò che è possibile finchè si è in tempo e senza troppi scrupoli. 

L'articolo si conclude con questa riflessione il comunismo è contrazione, ripiegamento, autolimitazione per fare spazio all'altro fuori di noi. Come l'infinito ha dovuto ritrarsi in se stesso per creare il mondo, sarebbe giusto che anche gli uomini si contraessero per lasciar spazio a chi non ce l'ha. Questo può essere una sfida del comune. Ma qualcuno ha voglia di rinunciare a qualche comodità? Qualcuno è disposto a limitare i propri privilegi?. In parte è vero, il fatto è però che proprio il senso che ci sia altro da se provoca la scissione di cui si è parlato più sopra, la perdita della condizione di unità ha posto in essere questa aberrazione visiva per cui come in un gioco di specchi deformanti si prende per vero il riflesso delle propria mancanza di unità e di appartenenza.Lasciare spazio all'altro è in realtà creare il proprio spazio e dargli una dimensione. 

Finchè ciò non avviene non esiste una misura per stabilire quanto e quale spazio deve essere lasciato, a chi e da chi.Inoltre il mondo o macrocosmo è strettamente connesso con l'idea che lo ha generato, solo che questa idea deve accorgersi di essere il mondo, l'uomo, microcosmo, è chiamato a fare lo stesso percorso di consapevolezza. Le comuni sono sempre state dei tentativi di alternativa alla struttura societaria tradizionale offrendo esperienze interessanti anche se in spazi circoscritti e in condizioni non facili, molto spesso si sono caratterizzate per un'impostazione ideologica e politica e un isolazionismo autarchico e o più o meno elitario. Alcune di esse invece nate sotto la spinta di maestri spirituali e che tuttora esistono, hanno invece come scopo di preparare le persone a vivere nel mondo offrendo loro i mezzi e le tecniche per avviare un percorso interiore per ritrovare il senso più profondo e intimo di se, e guardare alla vita come ad una sperimentazione. Per usare una definizione bizzarra, ma calzante, potrebbero essere definite "cliniche della consapevolezza".