Sul destino

18.12.2014

Dall'epistola di Giamblico a Macedonio

Stobeo I 5. 17 (tratto dal sito https://www.letteraespirito.com )

Tutti gli esseri sono esseri in forza dell'uno, e infatti anche ciò che è in modo primario da principio si produce a partire dall'Uno, ma in modo del tutto particolare le cause totali in forza dell'Uno ricevono il potere di produrre e secondo un unico intreccio sono tenute unite e allo stesso tempo sono ricondotte insieme al principio dei molti, in quanto pre sussistono.

In base a questo ragionamento, dunque, a un'unica causa totale è sospesa anche la molteplicità delle cause naturali, che sono costituite di molteplici specie, divise in un gran numero di parti e dipendono da più principi; d'altra parte tutte le cause si intrecciano l'una con l'altra secondo un unico legame e la connessione delle molte cause rimonta a un'unica forza causale, la più comprensiva.

Dunque questa unica concatenazione non è formata alla rinfusa a partire dal molteplice, né realizza l'unità acquisendo consistenza a partire dall'intreccio, né si trova dispersa negli esseri individuali; piuttosto è secondo un unico intreccio causale, superiore e antecedente agli esseri individuali, che questa unica concatenazione porta a compimento tutte le cose e le lega insieme in sé e le riconduce a sé secondo l'unicità formale.

Si deve dunque definire il destino un ordine unico che comprende in sé allo stesso tempo

tutti gli ordini.

L'insegnamento del Tao e di tante altre cosmogonie orientali, hanno fatto puntualmente riferimento all'Uno che genera il due e poi tutte le cose per l'esattezza "le diecimila cose". Da Bramha discendono le divinità che governano l'apparire e l'esistenza in tutte le sue forme. Giamblico, riprende questi principi ma li rende più particolareggiati tessendo una vera e propria rete sinergica tra tutte le cose che appaiono, tra loro c'è un legame e benchè appaiono intrecciate, o divise in tante parti, appartengono ad un'unica origine e in virtù di questa unica radice riportano ad un'unica unità formale. Shiva che attraverso Shakti crea tutte le forme vive in ognuna di queste e le unisce sottilmente da un'unica energia primordiale. La concatenazione di cui parla il pensatore greco, è il sincronismo, il legame sinergico tra le varie parti che compongono il più volte citato puzzle dell'apparire, tutti i vari pezzi, o unità, o cose, o esseri. Comunque li si voglia chiamare sono un'emanazione del principio che le ha generate e che ad esso ritornano dopo che le stesse hanno portato a "compimento" le intenzioni di chi le ha generate. La speculazione filosofica nel caso di Giamplico si avvicina moltissimo alla consapevolezza cosmogonica orientale, anche se dalla forma con la quale viene espressa pare mancare di sperimentazione diretta e di identificazione attraverso queste forme manifeste con il principio, è un testimone, un osservatore che usa la mente per argomentare sull'apparire e l'essere identificando questa condizione nel Destino, che non viene però qui vissuto, come accade per il pensiero religioso occidentale, come qualcosa di fatale e ineluttabile bensì "necessaria" perché ciò che accade abbia un senso. La definizione di Destino data dall'autore, come "un ordine unico che comprende in sé allo stesso tempo tutti gli ordini" ha questa caratteristica.

Se da un lato non sembra potersi intervenire nell'intreccio degli eventi, tuttavia gli stessi sembrano avere vita propria e quindi passibili di essere influenzati nel loro divenire da fattori diversi tra i quali non ultima la coscienza dell'uomo che interagisce con essi è in questo frangente che emerge forte la differenza tra la supina accettazione e la ricerca sperimentale che porta a entrare in intima e profonda connessione con l'esperienza generata dal divenire.