Creare il percorso per farla salire

23.08.2013

Leggendo questo titolo ci si potrebbe chiedere ma a che cosa si riferisce, a un ascensore, una funicolare, una mongolfiera. La fantasia si sbizzarrisce come di fronte ad un coan "facilitato". I bambini andrebbero a nozze con questo gioco, un indovinello di altri tempi, con cui i nonni intrattenevano i nipoti per "tenerli buoni", perché non andassero in giro a combinare guai.Non occorre essere bambini per combinare di guai, anzi, da adulti se ne combinano di tutti i colori, basta guardarsi un po' intorno per rendersene conto. 

Cos'è che sale, quindi......ha a che vedere con i bambini, perché l'argomento è anche collegato al bambino interiore; quell'esserino che tanti problemi crea se non ci si accorge di lui, del fatto che è alla radice del nostro corpo, nella parte dove si annida l'energia creativa.Forse ci siamo, gli addetti ai lavori avranno già compreso di cosa sto parlando, niente ascensore, né di quelli moderni dentro i quali ci va un letto a una piazza e mezzo, né quelli vecchi con le porte di legno a vetri, le funi a vista e i cancelli scorrevoli o a battente che fanno un rumore particolare e inconfondibile di ferraglia. 

Né funicolare, con la cremagliera e le funi e le rotelle giganti di guida che rotolano e si spostano secondo la posizione delle carrozze che trainano, non è nemmeno la mongolfiera, quella dei tempi andati con bordo i precursori degli astronauti, ma solo perché indossavano strane attrezzature simili; né quelle moderne, colorate con i colori arcobaleno, con appariscenti scritte pubblicitarie, che sembrano sostare quasi per un particolare equilibrio di gravità, poi però, guardando meglio, ti accorgi che sono ancorate da un cavo così sottile da sembrare invisibile come quello di nailon delle canne da pesca. Il bambino interiore, chi è costui? 

E' la parte nascosta, l'identità perduta che reclama il riconoscimento e lo fa urlando e piangendo come tutti i bimbi che si sentono trascurati, e fa in modo che tu abbia i sensi di colpa e soffra le pene dell'inferno, senza sapere il perché, infine ti carica del bagaglio di emozioni che ti porti dietro per tutta l'esperienza di vita. Questa identità è stata abbandonata nel momento in cui qualcuno ti dice che cosa sei e cosa devi fare, si crea un'altra identità in contrapposizione alla prima che è trascurata e abbandonata, non per cattiveria ma semplicemente per dimenticanza, per oblio. 

A un certo momento però, quando l'adulto, l'identità costruita va in crisi, ecco che dal basso qualcosa si muove e comincia il "ballo".Come calmare questo "demonietto" che scalpita, come un feto nel grembo materno? Ebbene sì, va messo al mondo, partorito! Non sto dando i numeri, anche noi maschietti dobbiamo partorire, senza dolore fisico ma con altrettanto impegno, il dolore che si prova sarà interiore, e può essere anche straziante ma alla fine si trasforma in gioia e piangi, ridi, diventi matto, perché hai messo al mondo te stesso, hai ritrovato qualcosa che già sapevi di essere ma di cui ti eri dimenticato.Quando si parla di respiro, e qui c'entra molto il respiro, (non vi ricorda nulla la tecnica che è suggerita alle partorienti per rilassarsi e attenuare la tensione dolorosa delle doglie). 

Spesso si sente dire che si respira nel migliore dei casi dal diaframma su, questo a quel livello si è verificato un taglio o si è innalzato un muro che divide in due il corpo, la parte superiore e quella inferiore non comunicano più, sono scisse e questa condizione provoca il senso di "spaccatura" d'"incompletezza". Che cosa può cercare di ricucire il taglio di perforare quel muro se non il respiro. Esso è collegato alla coscienza, allo spirito, ci tiene letteralmente in vita. Se provate a stare qualche minuto senza respirare, avvertirete la sensazione di dissolvimento, il corpo comincia a perdere di consistenza, i sensi si annebbiano. 

Il respiro può diventare una perforatrice, un maglio, un bisturi per un'importante operazione chirurgica, liberare dalla sua prigione il bambino interiore, far uscire dall'utero il neonato.Sto scrivendo cose note un po' a tutti i famosi addetti ai lavori, ma la differenza è che questa condizione è stata sperimentata direttamente. Un modulo intero sul respiro al quale rimando per comodità consultiva di chi legge. Qui in breve posso affermare che con opportune tecniche, il respiro può diventare lungo, profondo, scendere giù, fino a raggiungere la fonte della nostra energia. 

E quindi ri-conoscere il bambino interiore. Incontrarlo non è una passeggiata, perché se è molto arrabbiato e aggressivo o sofferente e addolorato può diventare drammatico. E' come guardarsi allo specchio e inorridire se quello che si riflette è qualcosa che non si aspetta di vedere. Lungo il percorso che porta alla radice, infatti, c'è tanta roba da rimuovere, una quantità industriale di emozioni, sensazioni, nevrosi, traumi, blocchi, accumulati durante l'esperienza di vita e che si è generati proprio a seguiti dell'allontanamento progressivo dal bambino interiore.Sto parlando di ridiscendere, ma non si era detto che c'era da salire? 

Non è uno scambio di carreggiata o un salto quantico delle mie sinapsi. Prima di salire si deve scendere, e in una fase successiva formare un circolo col respiro, collegare senza soluzione di continuità, la fase ascendente e quella dissentendo, sentito parlare di respiro circolare? E' quello. Una tecnica efficacissima ma dura per liberare il "percorso". Il respiro nella "normalità" dei casi e come un ascensore che più sotto di un certo piano non va, ha voglia a pigiare il tasto uno e zero, più in là del terzo piano non scende. Si sposta unicamente dal terzo al quinto piano. Con un movimento verticale, diritto, senza curvature. Come rompere l'incantesimo? Si sostituisce l'ascensore o si cambia casa? Si cambia il motore e si allunga il cavo. Il respiro porta più giù, l'intenzione allunga il cavo. 

Si reimpara a respirare proprio come un neonato, che è tutto un respiro, basta osservare come il piccolo corpo si dilata, si espande. Se il cranio non fosse una scatola ossea, si espanderebbe anche quello. In realtà lo fa, anche se non è visibile dall'esterno. Respirare come un neonato, questo è il segreto per scendere giù, un'identificazione totale, per ritrovare il neonato che è in te, devi diventare il neonato con tutte le sue funzioni fisiologiche.Non basta, però, perché c'è di mezzo anche la "testa", la parte psicologica con la quale fare i conti, per questo si agisce su due fronti quello dello spazio interiore e quello del respiro. L'azione combinata permette a quest'ultimo di rompere il muro. Il nostro famoso ascensore allora può scendere sotto il terzo piano. Ogni piano "conquistato" però richiede sacrificio, impegno costante, lavoro psicofisico. 

E' come scavare con le mani invece che con una comoda ruspa. O con le dita al posto della trivella per i pozzi di petrolio, già perché dove si va a "scavare" c'è pressione, fortissima. Una pentola ermeticamente chiusa con il fuoco acceso sotto.La pentola a pressione con quella valvolina sulla cima da cui esce il vapore con un sottile sibilo, mentre si sente il gorgoglio crescente, dell'acqua che bolle all'interno. La situazione dinamica è la stessa. Il respiro tende a scendere ma trova impedimento, oltre che negli ostacoli già citati, anche nella forte pressione che viene dal basso. Quello che accade quando il respiro passa oltre e "scende di piano" equivale a una sorta di "collasso" diaframmatico, un cedimento improvviso di qualcosa di teso e duro all'altezza dell'ombelico. Il respiro si fa largo, fora in quel punto e si espande nella zona sottostante e lì incredibilmente c'è un'infinità di spazio, più di quanto si possa immaginare osservando l'anatomica del corpo.

L'ascensore ora può raggiungere il piano terra, il varco è aperto. Attraverso la porta a vetri si vede il vano con i muri e, a ogni piano, s'intravede il piano, il secondo, il primo, infine l'ascensore si ferma con la classica frenata ammortizzata e un leggero rimbalzo verso l'alto per il cavo che cede la sua forza d'inerzia, al piano terra. E qui se decidi di aprire le porte accedi a uno spazio che può essere luminoso e bellissimo o oscuro e tenebroso. Spesso si resta ancora dentro la cabina e si guarda attraverso i vetri.